lunedì 10 agosto 2015

IL TARTUFO PIU' GRANDE DEL MONDO terza puntata

Vediamo chi furono i pionieri, da dove venivano e come si sono insediadi a San Miniato.
Molto probabilmente furono loro a portare il cane Lagotto, il quale, incrociato poi con i meticci locali, diede vita ad un tipo di cane tuttora presente e definito "meticcio sanminiatesi"  

.....I pionieri furono Stagnazza, Giacchetta, Paolo, Tego, ricordati con i loro nomi e soprannomi, che si stabilirono a Balconevisi, Corazzano, Palaia. Di quei primi viaggi avventurosi dalla Romagna alle nostre zone è rimasto solo uno sbiadito ricordo. Si dice che arrivassero a piedi, passando l’Appennino con i loro cani, che non potevano salire in treno, camminando per diversi giorni.






(Foto 7, Il primo tartufaio della zona: Stanislao Costa detto «Stagnazza»)





(Foto 8, Il tartufaio Ezio Falaschi all’opera)





Ogni autunno, i romagnoli tornavano e si fermavano, alloggiati alla meglio, dalle famiglie locali. Spesso lasciavano i loro cani nelle famiglie delle frazioni della Valdegola per ritrovarli la stagione successiva. Nacquero amicizie e qualcuno trovò anche moglie in loco.
L’esempio più emblematico è quello di Stanislao Costa, detto Stagnazza, nato a Casola Valsenio nel 1875, sull’Appennino, in provincia di Ravenna, dove sembra che facesse il panettiere. Giunse a cavallo dei due secoli passati a Balconevisi con altri tre tartufai, si fidanzò, e poi sposò Amelia Pieragnoli nel 1902, e qui si stabilì per sempre. Sembra quindi che la ricerca dei tartufi sia stata favorita dalla presenza di Stagnazza e degli altri romagnoli. È probabile che i loro cani fossero Lagotti con pelo riccio, mantello a toppe, di taglia media e petto robusto, come confermano anche alcune foto d’epoca: va ricordato che questo tipo di cane, all’inizio del secolo, era diffuso nella vallata del Santerno, del Lamone e del Senio, proprio cioè da dove proveniva Stanislao Costa.
Da noi è stato incrociato più volte con i cani locali e nelle nostre zone non si è mai puntato su una razza particolare di cane da tartufo. Infatti i migliori esemplari per la ricerca sono bastardi e di tanti tipi. Ogni famiglia di Balconevisi e delle località vicine aveva due o tre cani che custodiva con cura e teneva all’interno delle abitazioni.
L’altra tesi è orientata a cercare le radici della ricerca del tartufo in loco, infatti Eugenio Gazzarrini (classe 1885), che abitava in fondo alla scesa di Balconevisi, si mise a cercare tartufi con il cane all’età di 15 anni. Non solo, ma in un secondo momento iniziò a vendere i cani da tartufo e forse cominciò da lì l’attività di raccoglitore e di commerciante.
La famiglia Gazzarrini gestiva le fornaci per varie fattorie già dalla metà dell’Ottocento, cosa che continuerà per quasi cento anni, tuttavia Eugenio era molto intraprendente e si dedicò anche alla ricerca e al commercio
dei tartufi. Quello delle fornaci infatti non era un lavoro continuo e spesso gli operai e lo stesso Gazzarrini andavano a lavorare in Piemonte, forse proprio da questi scambi maturò in lui la consapevolezza che non solo Alba e dintorni, ma anche San Miniato fosse vocato per il tartufo. Si dedicò al commercio di tale prodotto e fu il pioniere per tutta la zona, non mandava in alta Italia solo tartufi freschi ma anche conservati. Confezionava da sé le scatole e le spediva per posta per ferrovia già nei primi anni del secolo. Nel 1924 Eugenio Gazzarrini fu premiato alla Mostra Circondariale per la «conservazione di tartufi bianchi in scatola».
Si può logicamente pensare che le due tesi non siano in contraddizione: sia l’esperienza dei romagnoli che l’intraprendenza di Eugenio Gazzarrini hanno senz’altro giocato un ruolo decisivo nel dare l’inizio, a San Miniato, a questa difficile arte...

Molto interessante anche la storia del "meticcio sanminiatese, che sara il tema del prossimo post con qualche foto esplicativa"