Vediamo chi furono i pionieri, da dove venivano e come si sono insediadi a San Miniato.
Molto probabilmente furono loro a portare il cane Lagotto, il quale, incrociato poi con i meticci locali, diede vita ad un tipo di cane tuttora presente e definito "meticcio sanminiatesi"
.....I
pionieri furono Stagnazza, Giacchetta, Paolo, Tego, ricordati con i
loro nomi e soprannomi, che si stabilirono a Balconevisi, Corazzano,
Palaia. Di quei primi viaggi avventurosi dalla Romagna alle nostre
zone è rimasto solo uno sbiadito ricordo. Si dice che arrivassero a
piedi, passando l’Appennino con i loro cani, che non potevano
salire in treno, camminando per diversi giorni.
(Foto
7, Il primo tartufaio della zona: Stanislao Costa detto «Stagnazza»)
(Foto
8, Il tartufaio Ezio Falaschi all’opera)
Ogni
autunno, i romagnoli tornavano e si fermavano, alloggiati alla
meglio, dalle famiglie locali. Spesso lasciavano i loro cani nelle
famiglie delle frazioni della Valdegola per ritrovarli la stagione
successiva. Nacquero amicizie e qualcuno trovò anche moglie in loco.
L’esempio
più emblematico è quello di Stanislao Costa, detto Stagnazza, nato
a Casola Valsenio nel 1875, sull’Appennino, in provincia di
Ravenna, dove sembra che facesse il panettiere. Giunse a cavallo dei
due secoli passati a Balconevisi con altri tre tartufai, si fidanzò,
e poi sposò Amelia Pieragnoli nel 1902, e qui si stabilì per
sempre. Sembra quindi che la ricerca dei tartufi sia stata favorita
dalla presenza di Stagnazza e degli altri romagnoli. È probabile che
i loro cani fossero Lagotti con pelo riccio, mantello a toppe, di
taglia media e petto robusto, come confermano anche alcune foto
d’epoca: va ricordato che questo tipo di cane, all’inizio del
secolo, era diffuso nella vallata del Santerno, del Lamone e del
Senio, proprio cioè da dove proveniva Stanislao Costa.
Da noi è
stato incrociato più volte con i cani locali e nelle nostre zone non
si è mai puntato su una razza particolare di cane da tartufo.
Infatti i migliori esemplari per la ricerca sono bastardi e di tanti
tipi. Ogni famiglia di Balconevisi e delle località vicine aveva due
o tre cani che custodiva con cura e teneva all’interno delle
abitazioni.
L’altra
tesi è orientata a cercare le radici della ricerca del tartufo in
loco, infatti Eugenio Gazzarrini (classe 1885), che abitava in fondo
alla scesa di Balconevisi, si mise a cercare tartufi con il cane
all’età di 15 anni. Non solo, ma in un secondo momento iniziò a
vendere i cani da tartufo e forse cominciò da lì l’attività di
raccoglitore e di commerciante.
La famiglia Gazzarrini gestiva le fornaci per
varie fattorie già dalla metà dell’Ottocento, cosa che continuerà
per quasi cento anni, tuttavia Eugenio era molto intraprendente e si
dedicò anche alla ricerca e al commercio
dei
tartufi. Quello delle fornaci infatti non era un lavoro continuo e
spesso gli operai e lo stesso Gazzarrini andavano a lavorare in
Piemonte, forse proprio da questi scambi maturò in lui la
consapevolezza che non solo Alba e dintorni, ma anche San Miniato
fosse vocato per il tartufo. Si dedicò al commercio di tale prodotto
e fu il pioniere per tutta la zona, non mandava in alta Italia solo
tartufi freschi ma anche conservati. Confezionava da sé le scatole e
le spediva per posta per ferrovia già nei primi anni del secolo. Nel
1924 Eugenio Gazzarrini fu premiato alla Mostra Circondariale per la
«conservazione di tartufi bianchi in scatola».
Si può
logicamente pensare che le due tesi non siano in contraddizione: sia
l’esperienza dei romagnoli che l’intraprendenza di Eugenio
Gazzarrini hanno senz’altro giocato un ruolo decisivo nel dare
l’inizio, a San Miniato, a questa difficile arte...
Molto interessante anche la storia del "meticcio sanminiatese, che sara il tema del prossimo post con qualche foto esplicativa"
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